Stelle danzanti

Pablo Picasso (1881-1973) dipinse 58 studi sul tema di Velásquez (1599-1660), las Meninas (1656). Teofilo Gautier (1811-1872) alla vista di quell’opera oggi al Prado di Madrid, pare domandasse clara voce dove fosse  il quadro. Lo si vede riflesso infatti il quadro, i due imperatori di allora Filippo IV e la consorte Marianna, nello specchio di sfondo; ma nella rappresentazione dei soggetti alla ribalta, della tela inclusa in questa stessa rappresentazione, si vede il retro da cui sbuca autoritratto Velasquez stesso, con il volto légèrement tourné et la tête  penchée vers l’épaule. Il fixe un point invisible mais que nous les spectateurs pouvons aisément assigner  puisque ce point c’est nous-même, notre corps nos visages, nos yeux. Les spectacles qu’il observe est donc deux fois invisible: puisqu’il n’est pas représenté dans l’espace du tableau, et puisqu’il se situe précisément  en ce point aveugle, en cette cache essentielle où se dérobe pour nous-mêmes notre regard au moment où nous regardons.*(Michel Foucault-Les mots e les choses-Gallimard-pag 20). Picasso dunque dipinse  58 studi, una moltitudine di punti di vista, di ricercari sul tema di Velasquez. Li dipinse nel 1957 a Cannes e si possono osservare al Museu Picasso di Barcellona, città d’arte che varrebbe un viaggio non solo per questo ma per molteplici altri motivi.

La cocciuta pretesa di capire, attenzione al suo  archetipo latino càpere-comprendere ovvero contenere da cui càpulus-fossa, un  significato solitario, nella maggioranza dei più si manifesta per solito in misura inversamente proporzionale alla loro  effettiva possibilità,  capacità di capire. Tanto più si sforzano tanto più restano in una retrovia della comprensione, in un accampamento di simboli marginali e metafore usuali, usate, abusate ma confortanti. Operazione di riduzione ad unum, che blandisce l’ombra della morte che ogni opera d’arte, potremmo parlare delle visioni di Picasso bambino per esempio, porta con sé, allontanandone talvolta per il soggetto l’eventualità scontata. Per contenere occorre svuotarsi o, come si direbbe in francese, disporsi à la belle étoile, all’addiaccio, sulla nuda terra. I misteri di Mitra, dio nato dalla roccia, mi pare di ricordare che avvenissero nel sottosuolo, un càpulus appunto una fossa, nella terra dove non si sa che cosa potesse accadere di là dal simbolo, cioè dalla mancanza che il simbolo reca con sé, oscurando dove va chiarendo. Tanto più si cerca la ratio di un’opera tanto meno la si trova proprio perché  si sovrappone la debole ragion d’essere dell’essere alla ratio totale di un’opera intesa d’arte. I postulanti del che vuol dire, gli inspiegatizi, gli interpreti coûte que coûte vanno dunque a caccia DEL SIGNIFICATO come al mercatino di natale cercherebbero un presentino da acquistare, unico piccolo dio, erroneamente attribuito al desiderio di compiacere quando si tratta sì di compiacere qualcuno, ma il proprio inespresso Narciso. Regalo è invece l’opera d’arte, il regalo torno torno al quale, una volta scartocciato il suo involucro fittizio, si gira e rigira  sciogliendone o credendo di scioglierne, ossia per distrazione di vocale, scegliendone via via alcuni enigmi, le associazioni incerte, gli echi fugaci. Molteplicità. Il punto di vista; difficile da mantenere al punto che occorre continuare a volerlo. È in ogni modo adesivo e personale. Un’analisi, alla fine della quale come in ogni risoluta analisi, si emerga a confronto con un nòcciolo, non particolarmente duro, anzi in cui si affonda nell’inconoscibile assoluto. Qualcuno avrebbe detto un buco nero. Primo benché non unico tra gli artisti non dediti a un mestiere d’arte, lo capì Nietzsche in Ecco homo, ovvero come si diventa ciò che si è, ovvero stella danzante. Freud un altro. L’arte, l’opera d’arte sprofonda nel fondo là dove è insondabile tanto che ogni tentativo di tenercene a distanza di ragionamento, di essa ci fa risalire alla superficie e perdere di vista il fatto che l’arte, quando si manifesta autentica, ha il vantaggio inconfutabile di far coincidere del nòcciolo, l’interno con la sua superficie.  L’artista vàgula, giù giù cala giù afferrato dall’enorme forza gravitazionale di questo nucleo, lasciandosene guardare e governando la discesa con il paracadute del proprio indispensabile lessico, della propria faticata sintassi, del proprio conquistato stile finché tutto il suo pensare venga inghiottito e assimilato al nòcciolo stesso, là dove tutto si concilia, si comprende e comprende. Lo capì bene Flaubert, il signor madame Bovary c’est moi.

C’est pourquoi de plus en plus la littérature apparaît comme ce qui doit être pensé, mais aussi bien et pour la même raison, comme ce qui ne pourra en aucun cas être pensé à partir d’une théorie de la signification…. le langage va croître sans départ, sans terme, sans promesse. C’est le parcours de cet espace vain et fondamental qui trace de jour en jour le texte de la littérature.** (Michel Foucault- ibidem- chiusa pag. 59)

*… di poco discosto e la testa appena inclinata sulla spalla. Egli fissa un punto invisibile, ma che noi gli spettatori, possiamo agilmente attribuirci perché quel punto siamo noi stessi: il nostro corpo, il nostro viso, i nostri occhi. Lo spettacolo che egli osserva è dunque due volte invisibile: perché non è rappresentato nello spazio del dipinto e poiché si situa di preciso in quel punto cieco , sotto quella  maschera o nascondiglio essenziale, là dove il nostro stesso sguardo si sottrae a noi nel momento stesso in cui ci mettiamo ad osservare
** È con ciò che la letteratura emerge sempre di più come ciò che deve essere pensato, ma tanto più e per il medesimo motivo, come ciò che non potrà più essere pensato a partire da una teoria della significazione… e il linguaggio si accresce senza origine né termine, né promessa. È il sentiero, in questo spazio vano ma fondamentale, che traccia giorno dopo giorno il testo della letteratura.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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1 Response to Stelle danzanti

  1. Biuso says:

    Attenta e acuta analisi di un’opera fondamentale commentata da un osservatore -Foucault- altrettanto centrale. Grazie, caro amico.

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