Miguel de Unamuno, filosofo e poeta (1864-1936)
Non faccio dell’anti-sociologia se dico che mi occupo poco di guardare le figure che tappezzano la realtà ma, al comparirmi oggi l’ennesima foto di un scritoreª che se la suona e se la firma, di poetessa al femminile accavallata alle gambe del marketing, di questo o di quello/a in posa da dispensatori di consolazione, ho preso atto che non v’è alcuna o sono molto rare le immaginette sacre al culto di se stessi che, con effetti inquinanti sul paesaggio, specie in quella trappola rivelata che è la rete sociale, per non citare la pubblicità desiderio, che non siano dunque afflitte dall’ostensione costante, meno che puerile, peregrina, di quella stortura sotto il naso dell’esserci che è il sorriso. Giorni addietro un’idiota mi ha colto all’uscita del pissoir istituzionale con un sonoro, estatico e inteso fuor d’ogni dubbio salvifico, Salve, salve, lo vedi io sorrido, ti sorrido; Ah bene, io no, replicai con totale mancanza di bontà cardinalizia, gentilizia e convenevole. Domani scattasse la festa dell’attentato, al video dei morti – queste immagini potrebbero turbare la vostra sensibilità – prologo implacabile dei quotidiani in linea, e i quotidiani sono sempre in linea con una linea, per dieci, quindici o trenta secondi prima, specie di questi tempi luminosissimi, ecco tutto un avvento odontoiatrico o filibiscottiero, di modelle in genere, cui un bidet sembra aver restituito il sorriso appunto, dopo un’improvvida pipì.
C’è da pensare che avere una faccia seria, almeno assumerne il tono muscolare per imitazione, sia esclusivo diritto e dovere di malviventi generici, mafiosi, camorristi, madame della ‘ndrangheta e di qualche residuale nazista; non che ne manchino di quei tipi, sì che la genuflessione labiale al culto del buon pensiero pastore, sembra non giovare né alla marzialità né alla ferocia dei compiti delinquenziali. Gente autentica insomma. Come, se non quanto i filosofi, benché questi ultimi con i pochi artisti e i poeti che ancora non sono morti si affaccendino su rive opposte di differenti fiumi. In sintesi provate invece a trovare foto d’autore, attore, borgataro o puttana rifatti qual siano siano, che nella sua foto di faccia, non faccia la smorfiosetta, specie quelle parodie del femminile che sono i maschi, forse a significare il bis-pensiero, Ve l’ho fatta, il sorriso denunzia un’assenza, un buco, ma lo so che non lo so e vivo come se fossi vivo.
Mi consola osservare invece che il signor Putin pare determinato a non sorridere mai e non finge; ho l’impressione che il suo codice genetico non abbia le informazioni necessarie a simulare il sorrisetto in falsetto. C’è da fidarsi allora. Altro discorso riguarderebbe invece l’immagine di un qualunque altro dirigente politico, e non, italico, e non; lì ci troviamo di fronte ad una tale assenza di faccia ché, per tipi di questo rango, antistile e mestiere, perderla è impossibile. Solo il comico Crozza per esempio sa applicargliela, al punto che si ha il sospetto che certi figuri da parlamento esistano solo in grazia della sua parodia. Da qui la risata.
Paolo Poli, attore di sé ( 1929-2016)
https://www.youtube.com/watch?v=EadziciYlHk&index=3&list=PLKOuKTFf7fXs6tG7vrM1Cz4LSY9–E-tY
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ª cfr. Natalino Balasso https://www.youtube.com/watch?v=R3S9Jl6W3MQ
“Wie Vieles ist noch möglich! So lernt doch über euch hinweg lachen! Erhebt
eure Herzen, ihr guten Tänzer, hoch! höher! Und vergesst mir auch das gute Lachen nicht!
Diese Krone des Lachenden, diese Rosenkranz-Krone: euch, meinen Brüdern,
werfe ich diese Krone zu! Das Lachen sprach ich heilig; ihr höheren Menschen, lernt mir – lachen!”
(Also sprach Zarathustra</em", IV, "Vom höheren Menschen", 20).
[Quante cose sono possibili ancora! E allora imparate a ridere al di là di voi stessi! Sollevate i vostri cuori, bravi danzatori, in alto, ancora più in alto! E non dimenticatemi una buona risata!
Questa corona del Ridente, questa corona intrecciata di rose: a voi, fratelli miei, io getto tale corona! Ho proclamato santo il riso; voi oltreumani, imparatemi – a ridere!]
L’invito nietzscheano ti ha trovato consonante, caro Pasquale.
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Ieri, nella vetrina di un caffè, adagiato in mille lane, forse chiuse forse no le palbebre, dormitava un gatto imponente. L’avrei chiamato Friedrich.
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