Cerca di meritartelo. Sono le ultime parole che contano qualcosa nel film Salvate il soldato Ryan.
Mia moglie per eccesso di affetto protettivo mi ha nascosto per meditarlo tra sé, e/o io gliel’ho lasciato nascondere senza chiederne conto, il volumino di Luisa Sparavier Le ore in testa; ma il librino preso il suo tempo, è ben saltato fuori per lasciarsi leggere.
Apro un’apparentesi. Mi capitò, qualche anno addietro, di essere convocato dalla mia direzione, tutta un’iconostasi, e dal mio consiglio accademico, per rendere conto… di tutto un po’, di voler far didattica sovra ogni cosa… i figli di buona scuola sono in marcia da quel dì. In quell’occasione, non la più pessima ma nemmeno la peggiore del consiglio, un opus dei di seconda scelta, mi disse con tono convinto, Vedi tu sei un genio ma, ho dimenticato le parole esatte ma il senso del la conclusione fu, ma noi non ne abbiamo bisogno. Rimasi perplesso non tanto per l’asserzione che voleva suonare tzigana quanto piuttosto per il come; mi domandai come una poveretta potesse riconoscere in me il genio; ma la c’è una provvidenza, avrei potuto esclamare, che illumina i villi cerebrali del povero di spirito additandogli chi invece… per sua sfortuna nella maggioranza dei casi… ne ha. Il dubbio resta. Non si creda, mi rendo conto di diventare con l’età vieppiù quel che sono, quel che mia madre riassumeva spesso, con il motto, Sei tranchant/trinciante…un trinciapolli. Odioso più che antipatico, aggiungo io con orgogliosa sicurezza.
Ora, con il libriccino di Luisa Sparavier tra le mani mi domando come posso osare io definire una persona autrice di se stessa, qualificazione di rara attribuibilità, e che scrive ciò che scrive; e che non citerò perché… chi siamo in arte, come si diceva un tempo, siamo sempre al ponte di Remagen… ebbene cercare di meritarselo. Genio… sì sì ma occorre anche ridimensionare la parola al suo senso originario di dèmone, un dato per premio a chi non si sa e che non lo sa lì per lì, forse mai, e che anch’egli deve meritarsela l’iscrizione al club. Luisa Sparavier se la sta meritando. Le ore in testa. Un volumetto poetico in sé, più che di poesie, più di. Non avessimo degli analfabeti malfamati per classe dirigente è un libretto che sarebbe bello diffondere nelle scuole, in luogo di messaggi ecumenici di poètopi vietnamesi o poètope sarde o pastori argentini, anche se poi delle scuole, è un po’ il tono della prefazione, èl mestè l’è quèl di svalutare la parola del poeta con la spiegazione; le maestrine, obbligherebbero ad andare alla cerca del significato, il verme nel pannolino, del quel-che-il poeta-vuol-dirci quando l’ha bell’e detto. La riduzione di tutto a un dado Star di significato. L’esempio del dado non è tanto per dire; oggi la letteratura, l’arte è svalutata, in primis da chi pretende di farne mero esercizio di cul-in-aria, mettiti una carota, una cipolla, un sedano… e defecherai il cuoco che c’è in te. Alé con i corsi di scrittura creativa. Tutti in una neolingua dove cucchiaio indichi sempre e solo l’oggetto di cui alla voce cucchiaio in tutti i boch, zingarelli, duden, rea. Ma santo cielo che cosa mai si vuol spiegare di ciò che è già spiegato, il mistero, incomprensibile, dico io, che è la parola d’arte. Ciò che è possibile fare è trovare il punto di vista adatto, la luce, la metafora nell’angolo della stanza dal quale osservare las Meninas e dirsi, Ah, sì.
Tornando alla signora Luisa, non me ne sono mai discostato tuttavia, non saprei che dire di tanta complessa maturità e dominio espressivo, ritmo, tempo, maturità che è probabile sia da far risalire a epoche remote e a mondi non meno remoti, ai Greci. Le ore in testa ha il tempo dalla sua parte, è tempo come l’arte in genere quando sia tale. Con in testa un tic tac di elegante orologio, evocato dall’autrice in Premiazione, andrebbe letta; aiuterebbe dico prendere tempo, tempo d’attesa; la semplice descrizione di un istante, che conclude la raccolta. Peccato che leggere la signora sia così difficile, stampata com’è stata per pochi, cento copie preziose, da un tal di Udine, tipografia Pellegrini, sorta di Aldo Manuzio. Peraltro v’è da dire che ai dì d’incoeu la letteratura non sia pubblicabile. Anzi che occorra non pubblicarla per non lasciare che venga svalutata da editors, editori e maestrine. Attenzion battaglion che l’editoria ha inventato i libri senza parole; il Socing avanza, leggersi 1984, quelli che ancora ricordano il vocabolario. Quindi meglio così, alla larga. 100 copie.
I mitici Greci forse sbagliarono di un tanto; il poeta, se è autentico come la signora Luisa Sparavier, se non è una malmaritata che sfoga qualche ingorgo di un suo ventricolo asfittico, il poeta non è messaggero degli dèi, bensì malcapitato dio. Come del resto il suo gatto se c’è… c’è c’è…passeggero ronronron della sua scrivania. Un angelo.
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Le Chat
Una recensione che è movimento, una dichiarazione di poetica.
Qualunque cosa tocchiamo la facciamo diventate parte di noi, davvero.
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Sì, è fuori di dubbio e mi pare che questo movimento, come correttamento lo chiami, sia con-prendere. Più o meno come ho cercato di far intendere in quel venerdì delle ceneri. MI pare. Proverò a farti avere una copia del librino. Non credo sia questione di solo piacere ma di trovarvi la scintilla. Ave atque vale. Psq.
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Stupendo.
Laura Catrani Via Giuseppe Garibaldi 78 47921 Rimini ITALY +39 349 55 47 547 http://www.lauracatrani.com
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Cara signora Catrani, via Garibaldi 78, 47921 Rimini, grazie per la vista e per il commento guizzante. Una lettrice come lei, provi a cercare questo volumetto. Dallo stampatore forse. O dall’autrice. Si trova in rete con facilità. Se lo faccia mandare. È, come ha capito, importante. Azzardo come la Szymborska. È anche questione di gusto naturalmente. Caramente.
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