Anonimo triestino by Luisa Sparavier
Colto da subitanea riflessione, che è cogliere a glittering in the dark near the Tannhäuser Gate (vedi Blade Runner – Ridley Scott -1982) senza che abbia il tempo di riflettersi, pubblico qui di Anti-patico una versione beta. Versione che considererei più consona al mè ghiribizzo; l’immagine di copertina – per dir così – ben lo rappresenta e i versi di Cioran ( in Exercises négatifs -Gallimard pag. 71) lo compendiano in anticipo. Il resto o è silenzio o l’intìfico del che qualcuno ha gia letto…
Tout philosophe qui aborde les choses avec un arrière-pensée d’espoir -par là même- se disqualifie pour toujours. Il faut envisager l’univers et les hommes comme si on n’en faisait guère partie. Le penseur doit être monstre ou comédien: il est comédien s’il respecte quoi que ce soit ; monstre, s’il brise ses attaches aux objets et aux créatures, la pensée véritable devenant alors nécessairement le produit d’un non-être*
… Due fatti recenti e dal punto di vista di Tannhäuser equidistanti, cioè lontani, benché suscettibili to be entangled (vedi entanglement in Treccani). Il primo. Commentando con qualcuno un documentario anti-agricoltura industriale, intensiva, giudaico-capitalista, dopo la proiezione esprimo con chi non so la mia perplessità circa la volontà politica di porvi un freno, al giudocapitalismo, e mi trovo fronteggiato dall’esternazione volante ma polemica d’una signora, tanto fiduciosa della propria identità di caravella in quarantenna da indossare camouflage shirt adesiva e strangolavulva shorts; the future belongs to us, nella versione tedesca den morgigen Tag ist mein sembra proclamare la signora… Goods mit uns… l’allusione bilingue è alle parole del presidente Tramp -discorso del 4 luglio- e al ritornello della canzona nazista del bel Hitlerjugendstil nel film Cabaret (vedi idem Bob Fosse, 1972); farla breve, nella mente dell’avantardìta il possibile dunque ci appartiene e ci sono speranze ché, Gli strumenti per cambiare… literaly… Gli abbiamo… abbiamo il voto ma certo che bisogna votare bene eh… il eh è bislungo da milanese al Bagno Piero al Forte de’ Marmi. Gli occhi e il tono le luccicano non credo da pulzella, ma da fanatica sì… oh lo conosco il genere pensare-che-c’è-gente-che-non-vota-piccì… da partigiana oggi e collaborazionista ieri di chi crede e che dunque a giorni e ad ore rinuncia all’intelligenza perché ha la grazia di appartenere, conta niente l’oratorio di competenza; ma nel caso della signora poco ci vuole a capire che si tratta di commessa viaggiatrice del partito demotragico, la fenice che non finisce mai di estinguersi affannandosi ogni volta tra le proprie ceneri, ceneri di Gramsci. Replicato me che non crede nella democrazia rappresentativa e che, con l’eccezione chissà del comitato centrale del partito cino, non vede al mondo un’entità politica intesa ad accumunare i demi non nella fede, ma nell’evidenza del collapsus, la ristrutturazione ovvero a breve del pianeta in habitat per cactus; dunque se mai provare col terrorismo, un terra-terra ‘ntu culo alla Casa Banca. Va benon, fatta anche troppo lunga diranno i lettori benché, superata l’età e l’interesse per fottere, mi diverta sfottere. Secondo episodio. Treno per Tirano (It) in sosta alla stazione centrale di Malanno, la città di Sala’mboh. Solo nel compartimento sto leggendo sudate carte quand’ecco che piomba sulla terra, né troppo né troppo poco giovane, malmesso assai però a suo modo ordinato, i denti radi, da etiope forse, un africano ascetico, il quale, fatte le sue scuse, mi si dichiara, Sono un concittadino nero sono uscito appena di prigione mi hanno derubato e picchiato e nessuno mi crede. Egli parla benissimo italiano e glielo dico, Ah ma sono italiano… sono nato di Roma. Ecco, ora situo l’accento, non delle borgate o de Trastevere, ma italiano pulito degno di lode e a me gradito di certe borghesie romane o fiorentine coltivate, per capirci l’accento di Verdone, magari migliore, quando fa quello che è, il figlio del professor Verdone. Il signor Africa mi racconta invece molto rapido una storia inverosimile ma verosimile… gli manca un qual rubàb d’accompagnamento… di botte appunto, di furto dei suoi pochi averi, di ogni cosa, di chiedo aiuto e di sapesse cosa me ne son sentite dire, lei è il primo che mi ascolta; un odissea un brecht un’epica. Pausa. Gli chiedo se ha bisogno di denaro, ovvio ma la domanda è lecita ché pure è la stagion dei folli abbandonati nelle piazze; che sì che sì che sì, dicono i suoi occhi e tace la bocca per pudore, gli allungo cinque euro. Li prende con distanza e si esibisce in mille grazie, mille grazie mio signore, Lei… ohhh, niente tu da ragazzina che fa la spesa a Zanzizàr… Lei lei sì ha un cuore grande ma sa non che l’Italia sia cattiva è che mi presento male guardi, questo del suo cantar è il guizzo strepitoso, Guardi che capelli me li sono tagliati da me ma il risultato veda, mi chiede come gli stanno i capelli e a occhio gli rispondo che non è mal così grave il taglio, tutto sommato regolare. Questo lo rassicura, sorride, giravolta, ossequia, e si allontana verso la testa del convoglio. Ma non cala il sipario. Me ha nel frattempo riflettuto che con cinque euro ci combinerebbe nulla l’african e senza esitare lo fermo, Con cinque euro va lontano poco prenda qui, cavo il portafogli e gli do tutto quel che ho, sempre viaggio leggero, venti euro. L’uomo mi guarda con lo stupore di un bambino di sette anni di fronte a una vetrina di balocchi, si vede che ha distillato già di quei denari il valore, non poco per me che campo di pensione, e certo non poco per lui che non sa più a che dio appellarsi per benedirmi; dio tace nel suo isolamento, sa che la sua bontà da boia, i suoi te vogio ben goldoniani mi sono parti estranee e la scena resta all’uomo, al collega che con sorrisi rapinosi chiude il sipario. Poi mi rimetto a leggere. Tuttavia, tempo di sillabar due righe ecco che il conteur ripassa, fuori dal vagone, batte il finestrino con le mani, ultima chiamata alla ribalta, gioia e anzi di più, mano al cuore e alla fronte, si inchina sapiente ancora e ancora e via. Alla fine penso che venticinque euro per tanto e per un solo spettatore, sono bene spesi, meglio che dieci per un Progetto bellepòc a Belluso. Poco m’importano i se, perché, ma come ma, ma va’, i tuoi soldi eh, m’importa niente. L’avvincente armamentario epico, il gestus autentico, altro che Valentinecortesi per carità manco il confronto, di un cantastorie o un contaballe già v’è poca differenza, per molti versi, oh Saba, era fraterno alla capra me. Benché lo abbia fatto il mestiere degli apòstati, si sa il teatrante, e benché oggi molti mi possano rimproverare con la parola, mica verbum ma verbulario, di perseguire la strada del conteur in entrambe le accezioni sopraddette, ebbene con l’African cortese condivido a distanza di particella elementare il non appartenere, l’esilio ma da una terra a nessuno consacrata. Il non poter volere appartenere. Li mia venticinqui euri sono serviti a niente, a mangiare benino sì, il guadagno di una giornata fortunata. Egli tuttavia, me son certo, non m’ha considerato lo scemo ricco e buonannulla da spillare, macché; ha recitato, scena di strada, oh Brecht, per spettator di strada, benché in giacca e cravatta, mio quotidiano abilissimo travestimento. Ci vuole occhio crino e clino per capire con chi si ha a che fare per non strafare.
Me, le cose che già prima di aggregarsi in fatti ed eventi sono interpretazioni, estrae dal loro flusso quantico; trasformate in parole che sono un’altra cosa dalle cose, cui solo parole fisiche a metà possiamo appiccicare. Immersi nel flusso del quotidiano da cui si affiora qua e là interi o scomposti, così che dal punto di vista di Tannhäuser c’è anche il caso di poter esser misurati, oh Heisenberg oh Schrödinger (vedi in Treccani), per estensione mi pare necessità palese, destino, Tyche la non-appartenenza; nèmesi e anàmnesi, volersi sottrarre alla quale pare comprensibile illusione quanto balordo attaccamento alle possibilità, e dunque alle speranze, alla fede, la fede della signora con la vulva oramai in apnea. Ebbene signori miei ch’il leggete, me non ha fede, non crede, non può credere, nemmeno del tutto a ciò che scrive, dunque non può aderire né ser iscritto a club alcuno, nemmeno a quel di cui potesse ser il presidente… così com’è, impermeabile alla certezza, factu(m) de materia cinis elementi (cfr. Carmina Burana , Carl Orff, 1936) nell’indecidibilità del proprio scorrere. Torno… come un cantore passo per un’esistenza per sua natura ondulatoria. Anti-materico, anti-protonico, anti-patico. Fino alla morte.
En fin, per maggior tormento del lettore attento riporto qui a commento la breve scena tra il professore Biuso di Catania e l’autore di questo primo e secondo intento.
Alberto Biuso
Una scena fastosa, Pasquale. Teatrale, ironica, antica e fastosa. D’altre umanità, che ai sentimentalismi son capaci di opporre la distanza.
L’autore
…”D’altre umanità, che ai sentimentalismi son capaci di opporre la distanza”…
Caro Alberto, tiro un sospiro di sollievo perché sei passato sopra le mie inattuali quantistiche che, come sai incapace me di comprender matematiche, capisco solo come peregrinazioni, accadere poetici; il bosone di Higgins mi pare una meravigliosa pindarata, passibile di ogni deviazione, di ogni inacchiappamento. Deviare è il mio andare. La meccanica del Newton mi puzza di non avrai altro dio. Fin dal liceo tutta la fisica mi trascinava verso pendoli senza legge e mi parve un campo di gravidazioni che la matematica si affannava a restituire alla terra. Cenere alla cenere. Fosse stato per me non avrei dimostrato niente. Del resto la teoria del multiverso è bella così, olimpica, vasta, un verso della Dickinson, o di Leopardi, di Tanhäuser che si apre all’infinito. Che Bohr mi perdoni per questi strafalcioni. Dunque grazie per avere notata la sostanza grassa dello scritto perdonando sotto sotto le mie pirlate pensose… le dico a Pasquale perché l’altro intenda… e pirlare tu sai che alla lettera vuol dire girare a vuoto o giravoltare danzando come una pirla=trottola; perché poi sia divenuto sinonimo di stupido al maschile o di minchia ci vuol poco a capire l’intelligenza dialettale, tanto lo stupido quanto la minchia, si sa che vanno senza pensare dove sia sia la meta. Finis
Pù facile in Sicilia, Sonia benedetta. Al Sud in genere. Il nord è fatto su in una pellicola di plastica e cattolicesimo senza dèi.
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Stanare Dioniso ovunque sia
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