Il breve testo Lisboa Oriente, che qui ti sottopongo come fu nella misura obbligata di 15.000 battute, e apparso un anno fa in un volumetto antologico delle Edizioni Orizzonte Atlantico dal titolo La vita al tempo del Covid, ho l’impressione, non di più, che abbia nella sua inattualità un nesso virtuale con l’orrido oggi. Sono stato tentato dall’idea di modificarlo ma no, no, ne ho persa la voglia e te lo lascio in lettura così com’è.
Lisboa Oriente
© Pasquale E.G. D’Ascola e Orizzonte Atlantico
The magical mystery tour is hoping to take you away
Lennon-McCartney
Si avvinghiavano a quel treno tutti quanti, bisognava essere molto vivi, molto flessibili, molto opportunisti
Graham Green Il treno per Istambul
And when you talk I just watch your mouth
Steinberg-Kellly So emotional
Il tempo è un love affair di pippe tra tonache… Non fosse stato per il caldaista mascherato, affannato in cucina con la caldaia ostinata a non buttare acqua calda, Frederico Outeiro avrebbe chiuso così l’ormai quasi finita recensione del saggio in corpo 12, Tempo Relazione Sostanza Metafisica, di don Oriano Ronfani, capo della chiesa cattolica locale e professore di filosofia all’istituto paritario, nido, primarie, liceo delle scienze umane santa Teresa di Lisieux – lisiü, lisìǝ, lisiè secondo il parlante locale – commentare l’ultimo tomo del quale professore e prepósto, era obbligo del quotidiano semiminimo per cui Outeiro con lo pseudonimo di Ottimo Passato scrivacchiava – ecco un uso molto indicativo del tempo imperfetto – e la cui testata cantava Provincia con orgoglio identitario e Libertà ma da che bah, forse dal pensare – dato il taglio del giornale e la sua obbedienza a ogni santa madre – garantita dall’editore, primo e unico produttore di proiettili e pistole della valle, e da un direttore brillante negli elzeviri e ammiccante all’antica teoria del tanto peggio tanto meglio, del centro, quindi – conclusione realista di Outeiro – diversamente fascista ma fascista; Provincia e Libertà, labari lugubri e parapà.
‘Cudìiu; bestemmiando nel suo dialetto che il divino disintegra al suo primo apparire, il caldaista frantumò il sarcasmo montante di Outeiro come una bestemmia in lingua non riesce, e la pasquinata – il tempo è un love affair di pippe tra tonache – restò per disincanto dov’era, cioè nel quadernone a quadretti degli scritti codardi d’Outeiro; il pezzo sul saggio metafisico havea da esse’ quel che il direttore s’aspetta, cioè un liebig d’inexcelsis-qui al prelato, domino della cittadina alquanto a oriente dall’oceano Atlantico e del suo orizzonte culturale, bande in piazza, gospel in duomo… caldaie… conferenze dei meglio pupazzi reazionari, conservatori del quo ante, del quo dopo, del quiquoquà. Impeccabile nei suoi bei completi grigi, d’intelligenza indefettibile, ubiquo a concerti, proiezioni di film polacchi, presentazioni di libri – i suoi soprattutto dai compratori assicurati – intoccabile dunque il tònaco per il suo potere simbolico e reale, in ogni occasione di cui è irrinunciabile conduttore o ago della bilancia nei dibattiti a seguire o precedere, il religioso trova in generale il modo di ricondurre ogni terzo movimento di seste sinfonie, canto di vergini zanzare o segno pittorico di gerani a bellagio alla forza del simbolo in presenza del mistero – oh magical mystery tour – ; e qui dal vero non s’allontanerebbe troppo il presule, non volesse del mistero spacchettare l’involucro col puntiglio della sua mistica mimetica, rivelandone la banalità del contenuto particolare; ma a includere nella propria orbita seduttiva qualcuno dei diciotto pensatori liberi igt del paese – goccia che scava la roccia –, ei gioca la modestia dell’opinione nei teatrini sociali, li spalanca su inconsueti paesaggi ecumenici, fa la signorinella pallida, Mi scuso se parla la ragione della mia fede ma nondimeno del mio cuore, custodendo in canonica la superba purezza della Tanta inquisizione. Il caldaista annunciò, Era il flussometro.
Outeiro avrebbe voluto metterci ma una particola autentica nell’articolo, contraddire il tònaco, mostrare con cognizione di causa che il tempo è questione di vascelli spaziali o parassiti e predatori delle api di cui però ignorava quello che è difficile da comprendere, ossia quasi tutto; oppure e soprattutto di canto, letteratura e pittura pittura, la cui storia insegnava con successo a mettere da parte nel locale liceo artistico G. Raverta; Qual’è il tempo de la grande jatte – Outeiro a una classe di instagrammi – quale il tempo tra il primo e il terzo atto, quale il time to die, qual’è il tempo che snoda un racconto o annoda una canzone, quale il tempo nel cinema – oh ah del baseball di cui Outeiro sa solo che una partita può durare alla n – ecco ogni vera questione; vantaggio del musicista poterlo sancire di ogni composizione fino alle più strampalate frazioni, solido delirio per una tagliatrice di torte, 7/1, 4/5, 9/7; De la primavera il tempo sapete qual’è – concludeva Outeiro alla campanella – L’infinità degli sguardi perduti.
Il caldaista concluse la lista di guasti e ricambi, timbrò il libretto d’impianto, Outeiro pagò euro 180 poi, prima di salvarla nel mac, prese a riavvolgere a mente la propria recensione al nastro dei volteggi del Ronfani su pei vetri insaponati, addimostrando l’eterno in persona, tre addirittura, ben dentro sostanza e relazione e ben oltre metafisica e tempo, ma un frèmito della vescica e il trillo di una breaking news dalla posta lo distrassero, Outeiro non il tripperuno – Yemen 43 fronti di guerra fame colera covìd-19 a folate miserabili 14 su 24 milioni di abitanti – tuttavia shut up and lovenpiss, Outeiro andò al gabinetto e pisciò, poi aprì il rubinetto, la caldaia cantò buttando l’acqua subito calda, lui si lavò le mani contando i secondi, tornò al mac e con juicio prese a cercare, correggere, ossia mascherare ogni residuo sospettabile dal documento, prima di adelantarlo al direttore. Poi salvò, spedì e sopraffatto dal caldo si addormentò ciondoloni sulla tastiera.
Meticoloso spione dell’arcinota sanculotteria paracula di Outeiro, sempre così ben camuffata da indurgli il desiderio ma non l’agio, se non di una pubblica accusa almeno di una pubblica strigliata, letto, riletto, smontato e meditato il testo, per propria consueta disdetta il direttore non vi trovò niente d’infido… tuttavia… risolse per l’avvertimento mafioso; impugnò il telefono come una sentenza e, A buon intenditor, malignò con sé stesso prima che l’altro rispondesse, Per ferragosto caro utéro ma anche fine mese se vai in vacanza – Outeiro ne ignora gli standard – guarda mi scrivi una meditazione sul còvid… un qualchè… morte resurrezione e nobiltà utéro… dilungarsi ché taglio… attingere a ronfani ah sai una cosa… trovami utéro una parola o due che aprano il teatro della speranza… comunicare consolazione dal prima a sostenere nel dopo insomma un bel coccodrillo utéro… umanità… totalone sull’umanità. Ad imitazione del suo gatto, soriano e sornione nel rimuginare sonnellini solenni via dal sole del terrazzo, Frederico Outeiro languì per giorni in pigiama nell’ombra di casa a rimuginare o la resa al compito o la sua transustanziazione in vendetta di ferragosto.
Who’s who Frederico Outeiro e perché fa niente per aiutare il lettore nel processo d’identificazione – alieno insomma alle tensioni interiori di eroina e ostile alle congetture sentimentali – perché ama l’ombra, perché usa il panama d’estate e un fedora d’inverno, perché detesta il rumore – partorirai a motore – e i suoi profeti a due tempi cui augura ogni volta di inchiodarsi; perché studia con struggimento gli orari dei treni a trovar coincidenze per Lisbona – Lisboa Oriente e non partire mai – perché è lo spaesato adoratore di Whitney Houston e in amazon si suona e si canta le sue so emotional songs. Domande che vorticano in un oceano di risposte, ma intanto, il nome; là tra le elevate al cielo fu trascritto all’anagrafe Federico Utéro, per colpa del padre Inácio, inteso Inassio, che non osò opporsi all’uso di storpiare la grafia dei nomi altrui a beneficio del suono; Frederico si è lasciato traslitterare dal suo tesserino sanitario, dalla patente di guida e dalla carta di identità elettronica – non sei un robot – e dove lo Stato gli versa lo stipendietto di professore di storia dell’arte e il giornale quattro baiocchi, ecco, alla banca non è nemmeno raro che qualche impiegata lo apostrofi, Un autografo qui signor l’ùtero, senza fermarsi la malaccorta a pensare da quali inciampi una farsa possa nondimeno ruzzolare in tragedia; antenato di sé stesso per necessità di esule, Frederico parrebbe appartenere soltanto ai suoi documenti, al certificato di matrimonio, di divorzio e al ruolo di portoghese, forzato a sgattaiolare senza biglietto nel mondo e in un paese che ricorda ehssì lo stivale, cioè un calcio in culo. Dal limbo dei nonni emersi da un Portogallo sottomesso, dall’ultimo re paladino Manuel di Braganza ai Sidonia, dai Salazar ai Caetano, in una patria dimenticata prima che vi si potesse bagnare di nuovo, suo padre si trovò nella condizione di poter vivere bordo lago da odontotecnico, sua madre, come professora di euritmìa nel locale istituto per bimbi dabbene Waldorf; Frederico, artista per procura, coltivò sin dall’infanzia l’inglese, lingua che maneggiare oggi maneggia in punta di penna, tanto bene che per un po’ la sua temperie creativa l’ha sedotto a scriverci, a inseguire Pessoa; ingannevole però la temperie l’abbandonò presto all’arte d’altri e nella versione storia che lui rimestò in biografie più finte che romanzate di rari pittori d’america, di un cellista tisiologo, di un timpanista marxista; auto tradotte e pubblicate, riuscito mai a venderne una copia, esporle in vetrina nemmeno sorridendo alle libraie.
Parola morte resurrezione – riflessioni a media luz di Outeiro – Questo è il che… che il direttore s’aspetta da te… fronteiro… un panegirico chiaro chi l’è… lo sneak… such a similar word to snake… la talpa… l’ingesuito gabbano who whispered the brief… pàpà ‘na parola per drento i verba che manent del primal daddy… listen freddino sai cosa… al direttore lapàppa papòla amapòla… gliela dai te la parola… distopìa.
Le damazze dello yacht club, versione sdegnosa del canottieri – qui si comprano le scarpe da barca del New Hampshire là le scarpe da barca si comprano Nel New Hampshire – dicono distòppia. Outeiro l’ha sentito l’editore poppare distóupia da uno spritz svolazzante e sua moglie lolandese ammiraglia al burraco, ovaie da scrittrice per edificabili bimbi, in capo un groviglio alla diossina, sentirla come dice distóupia affilando col dior ultra rouge il filo dei labbri in grado di ciucciare via il cazzo a tutti i sansóuni, centinaia, strage dei deficienti, sentirla. La morte, shit. Frederico Outeiro crede da tempo che svanirà com’un tamburino di latta a pila, tiptòp tiptòp to stop sicché, in un mattino umido e accecante nel luogo che più di ogni altro rivela l’umano, il gabinetto, egli – scrittore puoi scrivere di tutto dappertutto o non sei tale – egli vide l’istantanea del titolo per un pezzo epico di fine estate, Il baseball o il fantasma di Whitney Houston.
Prima delle chiusure per ferie, Outeiro si calò a Milano per giorni nel particolato di archivi deserti, la Bertarelli ad esempio; disinfettante in tasca, mille volte lavandosi le mani, correndo nel gelo o nella fornace dei treni, sudando su per scale infinite, al termine di defatiganti giornate a suonarsi la sua diva e a ordinare la nomenclatura di un eden, balk, báse búnt cátcher dóuble play fóul pítcher, swing, alle prime luci di sabato 15 agosto, in cui dal prato vicino un sucaminchia del re ebbe la pensata di segargli i coglioni col rumore del suo tosaerba, malgrado il frastuono, Outeiro però ebbe pronto un fulminante de profundis sul baseball di cui niente aveva capito ma che nella sua interpretazione era sintesi perfetta dell’immaginario; e sulla Houston, l’immaginata, che sovrapposta a un tale Babe Ruth – 1927, 60 fuori campo – egli costituì in traslato della bellezza in quanto negligenza suprema. Ecce là la resurrezione. Batté salva e strike.
Quella notte, durante un intenso cannoneggiamento in cui gli elementi acqua e vento ed elettricità, rumble rumble toil and bubble, si coniugarono per far fuori ogni metafora in culla, nel bel mezzo di un sonno stordito Frederico Outeiro fece un sogno bizzarro e che solo la nozione privilegiata dei fatti di chi narra può riferire con esattezza. Sognò a colori di scendere giù per le scale tutte erte e deserte di una metropolitana, giù fino alla banchina affollata di qualcuni latini. Tutti con eguale mascherina e infradito, tutti in maglietta e bragoni bianchi e grigi, tutti legati al piede borsoni accozzati a stracci e spazzoloni, a Outeiro parvero tutti sopravvissuti a un giorno messicano dei morti fissato dall’occhio del National Geographic; tra lampi di luci gialle, una voce ripeteva, Prìsoners prìsone prì. Arriva in banchina una sola oblunga motrice d’un viola rossetto, fari sgranati, in fronte i glitter accesi della scritta non-stop; le porte si aprono, nessuno dei latinos si muove, esita Outeiro però sale a bordo del treno, le porte si chiudono con uno swing. In fondo al vagone, arredato come per una resa campale senza condizioni, un letto sontuoso; nel letto il soriano, un fantoccio in pigiama e un donna che pare, oh sorpresa, ma sì che è la Houston, la Whitney divina che scivola via da sotto i lenzuoli, immersa in una vestaglia – la Austen scriverebbe incantevole – ma sotto è nuda come la Austen faticherebbe a definirla; si avvicina a Outeiro la Whitney, Io sono la principessa Leszczyńska – gli dice – Regina di un portogallo… tu uomo che vuoi, e Frederico che in quel momento sa di sognare languore e rimpianti replica, Whitney sei da tutta la vita il mio amore. Un fischio in la buca il sogno e, come la vestaglia vola via di dosso alla Houston, il treno vola via in avanti e si conficca nel tunnel. Si udrà una voce, Next stop Lisboa Oriente.
Questa novella non ha strade alternative a un vicolo di spoglia brevità. Sulla sparizione del gatto e di Frederico Outeiro e del suo licenziamento in effige dal giornale per assenza ingiustificata, l’editore seppe e grato tacque; tacquero e risero scambiandosi barzellette gli homeworkers della redazione. In ferie dai suoceri a Grado-Friuli il direttore si obbligò con orgoglio a riscrivere di morti e resurrezioni. Si compiacque d’aver trovato lui la parola, il Qualcòvide.
Lecco agosto-settembre ’20
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