Che fisica la mia dolce metà

The Artist in Her Studio, 1993 (acrylic on canvas)

    Paula Rego – The Artist in Her Studio

È probabile che io non sia tanto intelligente, forse non come mi vedeva mio padre che del vocabolo intelligenza fece per tutta la vita la chiave di ogni stanza dell’albergo qui dei poveri sul cuor della terra, quelli che trafitti da un raggio di sole, grasso che cola se arriviamo a sera. Infatti lui arrivò a sera a poco più della mia attuale età e forse si ritirò con qualche intelligenza per non assistere allo sfacelo. Per quanto mi riguarda ogni tanto mi capita di sentirmi intelligente ma mi passa subito. L’età fa il resto.

Come è noto ho stima di una rivista letteraria, Pangea, che mi pare buona e molto attenta a non fare di se stessa il tamburino degli editori dominanti egemoni. E degli autori che incassano il plauso del pubblico medio, ovvero quello di laureati medi, diplomati medi, medi ocri che, stando a una vecchia statistica del Ministero dell’Istruzia sotto il prof. Tullio De Mauro→, pare duri fatica – se non è migliorato nel tempo – a decifrare un testo di media estensione e media difficoltà. Qui tra queste righe, oh Pindemonte, si passa per difficili con tutto il carico di giudizi prescrittivi che ciò comporta. E di convinzioni esortative, scrivi facile, scrivi facile. Scrivere facile è impossibile, udite oh villici ( G. Donizetti – Elisir d’amore), perché gli oggetti de cuius sono complicati e difficili. A meno che tu non ritenga letterariamente prezioso lo scrivere, my pen is on the table, magari in dialetto triestino, g’ho ‘l penin sul tavolin ciò. E amen e a non vederci più.

Ti invito pertanto, oh Pindemonte, a leggere il pezzullo su Rimbaud, qui al link https://www.pangea.news/rimbaud-lettera-veggente-2/. Ecco, mi pare che la rivista, e l’ho notato altrove, abusi di iperboli e metafore e infine sinonimìe e metafisica – indulge a raccontare fatterelli finendo nel gossip –  così da esaltare, oh Pinde, una sorta di assimilazione, sinonimìa, di opera e autore, leggi vita dell’ ∼. La questione è annosa. Se esse, vita e opera (+ carattere), siano tutt’uno o se come credo c’entrino poco o niente una nell’altra. Molière, per sopravvivere all’ambiente, fece per tutta la vita u suca minchia d’u rre, d’a reggina e du paggettu, nei suoi capolavori di questa attività non v’è traccia. Il caro Wilde scrisse poco o nulla in seguito allo sfortunato inciampo nella dissolutezza del codice penale inglese e di qualche marchetta invidiosa del Missipipì. Prima quando frequentava bene e vestiva meglio e faceva il bagno spesso, il wilder, scriveva eccome. L’acqua calda snebbia, la meningoencefalite no. La relazione tra turgori adolescenziali, sottoponti e fughe a 16 anni, nonché abbandoni alla vita di contrabbandiere non c’entrano con la poesia del Rimbaud. Se mai testimoniano del fatto che anche un teppista può nascondere e rivelare l’artista. E che alla fine l’artista preferisce la strada del teppista perché rende a volte di più. Farsene carico è questione di fatica non di brulotti romantici. Il Rapagnetta alias D’annunzio, fu uno scellerato piantachiodi nei portafogli altrui ma c’entra con Le martyre de Saint Sébastien? Direi di no. O Thomas Mann, Rilke e Benn, con le loro vite di ordinaria aristocrazia non avrebbero chiappato il podio. Poi c’è chi giudica la vita, ah Allen il dissoluto, ah il Pasolini marchettaro, ah Dalì da lì da lì, bon questo è pettegolezzo, nemmeno potin o cortiglio, proprio portineria. Che è quella che ti condanna al crucifige del condominio o, nel peggior dei casi al carcere di Reading Gaol – bella parola dal francese geôle – con annessi e connessi. Bon. Di Don Giovanni il peggior peccato fu di non sapere fare a Orfeo nemmeno una pernacchia, né comporre una sonata o progettare una casa Batló. Un vero Don Giovanni come Simenon, guarda Pinderello quanto e che cosa scrisse. Eppure non tuoni né fulmini, né underneath the arches, non dissolversi in roghi d’automobili da corsa o obnubilarsi in qualche modo. Forse non aveva la patente, occorre domandarsi. Céline scrisse il suo Voyage perfettamente compos sui. In Nord non v’è traccia di furore ma lucidità di patologista. Bevve per tutta la vita acqua e se ne vantava.

Far metafisica è un esercizio da filosofi in città. Mai capito nulla me dove stia la metà della fisica; come per Nietzsche, tutta la filosofia, Pindy caro, al liceo mi parve finire con Eraclito; dopo, o contemporaneamente, Euclide e Ipazia e il signor Bosone, la scienza, non Socrate, non Platone, le due portinaie lgbt del Partenone. Ad Aristotele mancò il talento per studiare la fisica dei gravi e l’umiltà per non occuparsi di teatro, che non era il suo mestiere. Per metafisica ho sempre inteso la metà e la meta incognita, inesplorata della fisica che ha sempre nuove frazioni da indagare o inventarsi in attesa di verifica pratica dopo quella deliziosamente solo matematica. Essere, non essere, onte ed ente, spirito, sono parole per liturgie intellettuali. Amleto che hai stamane tesoro, Oh nulla mamma ma alla enne. Il nulla è un poco travestito. Cistite o non cistite, oppure uretrite: that is the question. The rest is silence. Sipario. O no?

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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4 Responses to Che fisica la mia dolce metà

  1. Fairy Queen says:

    Credo di aver scritto a quelli di Pangea anni fa, convinta che fossero delle femministe preoccupate per la condizione femminile, ma non ebbi mai risposta, così come non la ebbi dalle associazioni e fondazioni femministe italiane, così come non l’ho avuta dalle associazioni e fondazioni femministe europee e americane. Insomma, ho fatto una specie di test a tutti questi enti che si prodigano a pubblicizzare i loro intenti ma poi alla fine in concreto non fanno nulla se non incassare soldi dall’Unione Europea. E’ stato deludente tutto ciò ma mi è servito a capire che molta gente, tutta quella che dice di star messa là per aiutare, non ha in realtà questo scopo. Io ingenua che credevo alla solidarietà femminile.

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    • dascola says:

      Mi duole, gentilissima collega di rete, ascoltare le sue lagnanze. Epistolare compulsivo mi sono trovato spesso nella sua condizione. Per bontà mal riposta a volte penso che molti non replichino per la banale ragione che molta corrispondenza finisce nello spam. Per questo uso controllarne il cestino ogni tanto. Quanto a Pangea è un’ottima e utile rivista che non dialoga con l’esterno. L’unico indirizzo che con molta pazienza avevo a suo tempo trovato nelle pieghe del loro sito, ora non è più indicato. Sempre a suo tempo a una mia osservazione circa dei refusi mi avevano risposto e ringraziato. Mai tuttavia all’invio di un mio lavoro che tout court hanno ignorato. E questo è così senza pomì. Ho l’impressione peraltro che Pangea sia una persona sola, donna o uomo per tutte le stagioni, con un enorme lavoro di raccolta da fare e di articoli da scrivere. Il tempo per il dialogo non c’è. Veda che la mia ulteriore impressione è che associazioni e gruppi, belli o brutti così fan tutti, si arroccano cioè nelle loro castella, appagati dal loro discorso, direbbe Lacan, e stop, fermi lì.

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  2. Tina Messineo says:

    Certamente no sipario!

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